domenica 1 gennaio 2012

REPORTAGE dagli STATES: Phantom a Las Vegas e poi Next to normal, Billy Elliot, Memphis, American Idiot e Wicked a Broadway!

Eccomi a scrivere questo lungo reportage dal gran bel viaggio negli USA, dove come potete immaginare non mi sono lasciato sfuggire nessuna occasione di vedere spettacoli, sia passando per Las Vegas, e poi ovviamente nella grande mela! Lascerò un po’ di spazio tra una recensione ed un’altra, di modo che possiate muovervi agilmente tra le recensioni, qualora vogliate saltarne qualcuna o evitare qualche spoiler sulle trame… insomma cominciamo!
 



PHANTOM – THE LAS VEGAS SPECTACULAR: meglio a Londra!
 
Non vi nascondo che ero davvero incuriosito da questa versione allestita nella capitale del divertimento statunitense, si erano lette grandi cose sulla spettacolarità delle scenografie, e sul gran fasto di questa edizione, cosi ho deciso di rinunciare ad uno dei vari spettacoli del Cirque du Soleil e mi sono lanciato nell’acquisto di un biglietto tutt’altro che economico per questo Phantom.
Diciamo che alcune cose mi hanno veramente esaltato, mentre altre del tutto deluso; cominciando dalle cose belle, sicuramente una cornice come quella del Venetian aiuta a creare l’atmosfera europea (anche se abbastanza finta) anche prima di entrare nel bellissimo teatro; la parte scenografica è veramente di tutto rispetto: il lampadario è gigantesco, diviso in 4 pezzi che partono da 4 punti diversi della sala e volano sulle teste del pubblico a formare il grande lampadario centrale, cavo al centro, così da permettere al fantasma di uscire da sotto il lampadario in volo e rientrarci (mooolto las vegasJ), o gli esterni del teatro dell’opera che compaiono in scena (per troppo poco per quanto son belli), i palchi laterali pieni di manichini vestiti a tema che ti danno veramente l’impressione di essere a Parigi a vedere l’opera, fino alle palle di fuoco che il fantasma tira a Raoul, decisamente più credibili delle originali… insomma scenograficamente davvero spettacolare.
Cast di tutto rispetto: Christine, purtroppo non trovo il Playbill e non sono sicuro se fosse Kristi Holden o Kristen Herzenberg, voce incantevole morbida nei momenti giusti da vera diva lirica in altri, Raoul, Andrew Ragone, e Carlotta, Joan Sobel, bravissimi, la seconda al di là delle aspettative, veramente divertente nella recitazione, proprio brava; il Phantom, Anthony Crivello, sicuramente un bravo interprete anche se non da brivido. L’orchestra lasciava senza fiato, meravigliosa.
Andiamo invece alle cose che non mi sono piaciute; lo spettacolo è ridotto ad un’ora e 40, e questo lo sapevo, però non pensavo che lo avrei accusato così tanto! Intanto è un atto unico, per cui il lampadario non cade dove dovrebbe cadere, e quella scena ne risente moltissimo! Il fantasma grida la sua vendetta volando sulla statua e subito parte il masquerade… praticamente come nel film per intenderci… proprio non va! E poi quando alla fine cade il lampadario… cade dritto, senza spezzarsi in 4, e scende per due secondi e poi risale nel buio, non sembra nemmeno che cada! Che l’hai fatto a fare spettacolare se poi non lo usi! Il lampadario perde proprio tutto il suo impatto, è talmente veloce il momento in cui cade che proprio non te ne accorgi! E poi praticamente sono stati tagliati quasi tutti i dialoghi, dando allo spettacolo un ritmo strano, tipo battuta-canzone, battuta-canzone, che nei punti dove le canzoni sono già vicine poco male (angel of music-phantom of the opera-music of the night è veramente un trittico perfetto) ma in generale, dà proprio il senso che le cose avvengano troppo in fretta, e soprattutto non riesci ad appassionarti alla storia! L’emozione musicale è la stessa ma il coinvolgimento no, non riesci ad appassionarti alla vicenda del fantasma, ad entrare in empatia con il personaggio, perché non ne hai fisicamente il tempo, e quindi il finale, la scelta di Christine, la solitudine del fantasma, non riescono a coinvolgerti!
Complessivamente quindi il PhantomVegas è uno spettacolo tecnicamente ineccepibile, ma in fin dei conti meno travolgente della versione di Londra… forse i ritmi di quella pazza città che è Las Vegas si adattano meglio a spettacoli più visivi, come il cirque, che in un’ora e mezzo ti rendono nuovamente disponibile per giocare al Casinò!




NEXT TO NORMAL:     storia e musica appassionanti, Pulitzer meritatissimo!
 
Innanzitutto, arrivare a Broadway, per gli amanti del teatro, sembra il paradiso, più di Londra: un unico botteghino per tutti gli spettacoli, prezzi che rendono abbordabile questa forma d’arte per chiunque, code anche di un’ora per i biglietti che sembrano volare, perché non fai altro che conversare con quelli in fila con te su cosa andare a vedere, sulle varie edizioni e interpretazione…insomma quello che qui fai con un ristretto circolo di appassionati, lì lo fai con la gente comune dalla vecchietta al ragazzo di vent’anni… una meraviglia!
 
Lasciando perdere queste considerazioni generali, parliamo di Next to normal: volevo andare a  vedere questo spettacolo ancora prima di sapere di che cosa parlava, perche mi era capitato per le mani il cd, e la musica mi era piaciuta un sacco, già dal primo ascolto! Ho poi letto che questo musical aveva una storia simile a RENT, produzione off che per l’importanza delle sue tematiche vince il premio Pulitzer e viene “promosso” a Broadway… quindi vado a vederlo e le aspettative non vengono assolutamente deluse: Next to normal è un musical rock impegnato e impegnativo, ma decisamente meritevole dei riconoscimenti che ha ricevuto (oltre al Pulitzer ha vinto 3 Tony awards, tra cui miglior musiche e arrangiamenti).
La storia (spoilerando un po’) racconta di una famiglia che nonostante abbia a che fare con i problemi psichiatrici della madre, vive la sua vita normalmente, il padre va al lavoro, i figli, maschio e femmina vanno a scuola, escono la sera… tutto sommato una famiglia normale… finchè una sera, con il fidanzato della figlia a cena per la prima volta, la madre non porta in tavola una torta di compleanno per il figlio. Gelo. Con una risoluzione registica veramente eccellente si capisce che il figlio con cui la madre si relaziona è solo nella sua testa in quanto il figlio è morto, 16 anni prima, in fasce, e lei lo vede, appunto, come un diciassettenne. Da lì in poi la storia si sviluppa con l’approccio ai medici, i dubbi sulle possibilità o meno di cura e sulla vera affidabilità della medicina in campo di salute mentale, con la forte critica alla psichiatria e all’elettroshock, fino ad una fine che non mi sarei aspettato, ma che ha un suo perché; insomma una storia forte, emozionante, di denuncia, portata avanti magistralmente dai soli 6 interpreti (la strepitosa Marin Mazzie nel ruolo della madre, il padre Jason Danieley, il figlio Kyle Dean Massey, la figlia Meghann Fahy, e il fidanzato ed il medico, Adam Chanler Berat e Luois Hobson, che fanno parte dell’original cast) più la band sul palco, che non fanno sentire la mancanza di un ensemble o di giganti scenografie, a dimostrazione che una buona regia, buona musica e bravi interpreti possono arrivare al pubblico con la stessa forza di un musical sfarzoso.
In un periodo dove fioccano abbastanza i musical Juke-box dove la storia è una scusa per far suonare le canzoni, avevo proprio bisogno di uno spettacolo dove la storia è la vera protagonista!





BILLY ELLIOT,    emozioni confermate anche nella versione americana!
 
Spenderò due parole soltanto per questo spettacolo, dato che l’ho già commentato in precedenza sul blog; lo spettacolo è in tutto e per tutto gemello della versione londinese, con la differenza che i performer americani sono decisamente meno bravi nel dialetto inglese del nord-inghilterra, e questo è perlopiù piacevole, si capiscono parecchio meglio i dialoghi!:)
Le emozioni sono tutte confermate, cosi come le scene clou dello spettacolo, dagli scontri poliziotti/minatori che si mischiano alle lezioni di danza, a Billy che balla con il sé stesso del futuro, alla rabbia dell’angry dance, alla malinconia gioiosa del finale. Bello veramente, uno spettacolo che a fronte di musiche belle ma a mio avviso non incredibili, pone idee scenografiche e registiche veramente notevoli; il tutto portato al cuore e agli occhi degli spettatori da un cast veramente perfetto; note di merito speciale per gli incredibili ragazzini, soprattutto Neil McCaffrey nel ruolo di Micheal, che ci offre un’interpretazione davvero spassosa, con tempi scenici perfetti e una padronanza del palco unica!
Come già affermato per la versione londinese, non vi fidate se il cd non vi appassiona, lo spettacolo merita e tanto!




MEMPHIS:     l’amore proibito ai tempi del Rock’n Roll
 
Sono andato a vedere Memphis per una serie di motivi: da una parte la colonna sonora interessante, che spazia dall’R&B, al rock’n roll, al gospel, dall’altra la curiosità di vedere il vincitore del Tony per miglior musical di quest’anno; i commenti ultrapositivi durante le file per i biglietti sono stati l’ultimo punto a favore; mi sono trovato davanti uno spettacolo davvero ben congegnato: racconta la storia di Huey, un ragazzo bianco appassionato di musica black che si innamora di una cantante nera (in periodo storico, gli anni’50, che ancora si confrontava con una sorta di segregazione) e che diventato DJ alla radio comincia a mandare musica nera, scandalizzando i benpensanti ma conquistando popolarità tra i giovani.
La storia tra i due rimane segreta con tutto quello che ne concerne… Il tema non è originalissimo, ma mi è piaciuto il modo con cui viene raccontata la storia, con la tranquillità di lui, le paure di lei, il bisogno di fare accettare la storia ai rispettivi parenti… insomma finale a parte, che non vi racconto, a me la storia è piaciuta.
Le musiche sono veramente coinvolgenti, da ballare sulle poltroncine del teatro, eseguite magistralmente dall’orchestra che interpreta in scena la band del locale notturno dove si svolge la storia, scomparendo dietro un muro per le scene degli esterni, soluzione molto molto carina, perché dà veridicità a tutta la scena.
Il cast ha un’energia travolgente, ripeto vorresti alzarti e ballare a perdifiato, anche se non sarebbe facile visto che il livello tecnico delle coreografie di Sergio Trujillo, che sono veramente bellissime ed eseguite magistralmente; gli interpreti principali meritano davvero una menzione, Felicia, Montego Glover,  una voce strepitosa, ma non solo un classico timbro nero,  molto particolare, Huey, Bryan Fenkart, cover del primo cast, ispira simpatia a pelle, è fresco divertente sciolto, e con una voce sebbene non eccelsa che però stacca piacevolmente dai timbri di un un cast all’80% nero.
Alcuni momenti sono forse un po’ gratuiti (tipo la messa gospel) ma alla fine sono cosi strepitosi vocalmente che… ben vengano! Tony meritatissimo, e assolutamente da vedere!





AMERICAN IDIOT :      meglio andare a vedere altro…
 
Da una parte l’esibizione del cast di American Idiot alla cerimonia dei Tony Award mi aveva conquistato: energici, precisi, coinvolgenti. Sentire il cd aveva confermato questa sensazione: io che personalmente trovo i pezzi dei Green Day gradevoli ma, a parte qualche eccezione, nulla di che, ero rimasto colpito da come i nuovi arrangiamenti di questi pezzi, le riscritture per coro, le armonizzazioni avevano veramente reso interessante un cd che in originale non mi avrebbe detto nulla. E quindi sono andato a vedermi American Idiot. E ho scoperto che ascoltato il cd avevo già preso il meglio di questo spettacolo…vederlo in scena ha aggiunto ben poco.
La storia è veramente quanto di più banale si potesse concepire: i tre ragazzi dei sobborghi che decidono di andare a cercare una vita diversa in città, uno non parte per stare con la ragazza incinta, per finire depresso su un divano a vedere la tv tutto il giorno, gli altri due finiscono vittime del fascino dell’esercito uno, per poi finire in guerra e tornare mutilato a casa, e della droga l’altro per cui perderà l’amore della sua vita, la cui ricerca era uno dei motivi principali per cui era partito. Una storia che visto da dove parte sai già dove va a finire. Certo, qualcosa si salva, la critica alla società americana teledipendente, alla guerra e all’esercito, il percorso di incontro e lotta contro la dipendenza sono belle tematiche, ma mi sono suonate tanto come già viste e già sentite, e soprattutto con un livello di approfondimento per tematica praticamente nullo.
Poi, di nuovo dopo il Phantom Vegas, atto unico, 1h e 40, battuta-canzone, battuta-canzone, e come fai ad “entrare” veramente nella storia?
E’ proprio la struttura stessa dello spettacolo che secondo me fa acqua… per fare un musical jukebox o hai una storia carina, per cui le canzoni qualunque esse siano si inseriscono bene (tipo Mamma mia) o hai una storia banalotta ma che lega dei pezzi talmente strepitosi che non ti frega della storia (vedi We will rock you); qui la struttura non regge.
La scenografia è fissa, un muro graffitato pieno di televisori, un’immagine efficace all’inizio, ma perde un po’ durante la storia, quando ci aspetteremmo qualche caratterizzazione in più per le scene al di fuori degli appartamenti… anche perché non siamo davanti ad un musical off (e spesso i musical off comunque passano meglio il senso di esterno).
Poi per carità, qualche qualità ce l’ha, a cominciare appunto dagli arrangiamenti dei pezzi che fanno suonare molto più efficaci le canzoni dei Green Day; il cast ha un’energia davvero incredibile, a partire da John Gallager Jr, Rebecca Naomi Jones, Mary Faber e gli altri (peccato non aver visto Tony Vincent che era sostituito), e insieme alla band sono travolgenti, aiutati anche dalle coreografie di Steven Hoggett: queste sono dello stile “finto caos” e che sono molto efficaci all’inizio, poi alla lunga stancano un po’…
Alcuni momenti musicali sono davvero belli, come before the lobotomy, 21 guns (il piu bello), e anche whatshername, e poi senza dubbio il bis, che purtroppo non è su cd, in cui tutto il cast si presenta in scena  con una chitarra a testa, per cantare una splendida versione armonizzata di Time of your life; tuttavia  questi punti positivi non sono comunque sufficienti, e a metà spettacolo ci sono anche un paio di momenti di noia, in cui ti chiedi se uscendo magari non ti farebbero imbucare a rivedere il secondo tempo di MemphisJ
 Non me la sento di dichiarare American Idiot un musical da vedere; o meglio, in tournèè magari anche si, ma non in un posto come New York dove non mancano altre decine di spettacoli più meritevoli di visione.




WICKED:  le streghe meritano sempre

Per concludere, non spenderò piu di due parole per il WICKED newyorkese, anche perché è veramente identico alla versione di Londra (anzi il contrario), tanto che non ho capito bene a che cosa ci si riferisce quando leggo in vari articoli che la versione di Londra è più “dark”, a me è sembrata identica; citerò soltanto i bravi interpreti: Katie Rose Clark è una Glinda esilarante, in popular quasi troppo, sembrava uno spettacolo comico; Mandy Gonzales è una Elphaba di tutto rispetto, con un modo di cantare molto “speech”, molto sul parlato (The wizard and I sembrava quasi recitato, nonostante stesse cantando) ma in grado di dare grande impatto ai vari defying gravity e no good deed, e infine Andy Karl, finalmente un Fiyero degno del suo ruolo, in grado di cantare e muoversi senza morire col fiatone, di gestire lo sviluppo del suo personaggio, e in grado di duettare con Elphaba senza scomparire, tutte cose che non ho ancora avuto il piacere di apprezzare in nessuno dei performers londinesi visti fin’ora in questo ruolo.

E… ultima cosa: vedere Wicked il giorno di Halloween vincendo la lotteria dei biglietti in prima fila a 25 dollari, è stata la degna conclusione di questo gran bel giro musical-e:)

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